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Opportunità, rischi e il loro ruolo nella lotta al cambiamento climatico

di Mattia Berrini, biologo specializzato in Scienze del cambiamento climatico

La prima volta che ho sentito nominare gli Organismi Geneticamente Modificati è stato al telegiornale. Avrò avuto dieci, forse dodici anni. Un giornalista intervistava i clienti di un supermercato, chiedendo opinioni a riguardo. “Signora, lei comprerebbe della frutta fatta in
laboratorio?
”. “Per carità – rispondeva la cliente – neanche morta, non vorrei mai trovarmi a mangiare del DNA”. E una smorfia disgustata sottolineava la diffidenza verso l’acronimo.

Anni dopo, da studente di biologia, mi è capitato di ripensare all’assurdità di quel commento. Il DNA è presente in tutte le cellule viventi, dunque in qualunque nutrimento, e non rappresenta certo una novità. I nostri antenati del neolitico mangiavano DNA animale e vegetale cacciando e raccogliendo frutta e radici. Ma la cliente intervistata ha comunque la mia simpatia e non mi sento di biasimarla: purtroppo esisteva, ed esiste tuttora, una grande confusione riguardo all’argomento. Si tratta di una tematica complessa e, come tutte le questioni che possono avere implicazioni ad ampio spettro, è
spesso comunicata in maniera incompleta, inesatta, e faziosa.

La verità è che la coltivazione di OGM presenta vantaggi e svantaggi, benefici promettenti e rischi non
sempre controllabili; è utile riassumerli brevemente ma, come ho detto, è una tematica complessa. E siccome il dibattito si nutre della complessità, lasciate che aggiunga anche un punto di vista, recentemente emerso tra gli studiosi, sugli effetti che gli OGM potrebbero avere sulla lotta al cambiamento climatico. Così, giusto per complicare le cose.

Circa i vantaggi e gli svantaggi ci sarebbero da scrivere pagine e pagine, presentando i pro e contro della coltivazione di OGM. Proviamo a riassumerli brevemente, con un po’ di oggettività.

I “pro”

È bene considerare che l’umanità produce OGM vegetali da quando è nata l’agricoltura (quindi parliamo di millenni). Tradizionalmente questi venivano realizzati attraverso le tecniche tradizionali di selezione e cross-breeding, quindi i risultati venivano lasciati al caso. Le moderne tecniche di realizzazione in laboratorio permettono un controllo molto più raffinato delle caratteristiche che vogliamo ottenere da una nuova pianta, dunque in teoria sono più sicure. Le coltivazioni di OGM sono più efficienti (in parole semplici, permettono di raccogliere più cibo). Siamo 8 miliardi di persone sul pianeta, abbiamo bisogno di cibo in grande quantità. Inoltre, un OGM efficiente può essere coltivato senza l’uso di pesticidi dannosi per l’ambiente, che invece vengono largamente utilizzati nell’agricoltura intensiva classica.

I “contro”

Dall’altra parte, l’OGM è “evolutivamente più forte” delle piante che esistono in natura, proprio perché creato per essere efficiente. Se si disperde nell’ambiente, può vincere la battaglia evolutiva e soppiantare le altre varietà vegetali, con conseguenze imprevedibili e potenzialmente gravi sull’ambiente e sulla biodiversità. L’OGM rischia di favorire i suoi produttori rispetto a chi si dedica
all’agricoltura tradizionale, e quindi di inasprire le disuguaglianze sociali tra i Paesi ricchi e quelli in via di sviluppo (anche se le regolamentazioni a riguardo sono diventate molto più severe nel corso degli anni, proprio per limitare questo problema).

Gli OGM e i cambiamenti climatici

In tutto questo, che cosa c’entra il clima? C’entra eccome, perché l’agricoltura è una delle principali cause della deforestazione nel mondo e, come sappiamo, le foreste sono essenziali non solo per la biodiversità, ma anche per mitigare gli effetti del cambiamento climatico attraverso la fissazione della CO2 tramite fotosintesi.

Lo sfruttamento del suolo per fini agricoli in Europa è responsabile del 30% delle emissioni di gas serra nel settore. Ma le piante OGM sono più efficienti di quelle tradizionali, nel senso che producono più raccolto in rapporto alla superficie coltivata. Uno studio condotto in collaborazione tra la Berkeley University e l’Università di Bonn ha mostrato che la coltivazione di mais geneticamente modificato in Europa porterebbe a una riduzione nelle emissioni di CO2 nell’ordine di circa 20 milioni di tonnellate l’anno. L’Europa importa ogni anno decine di milioni di tonnellate di soia dal Brasile, dove la sua coltivazione è responsabile della riduzione dell’estensione della foresta amazzonica. Incrementare l’efficienza della produzione nel vecchio continente – sottolineano gli autori dello studio – sarebbe più sostenibile che non limitarsi a delocalizzare il danno ambientale.

Gli OGM sono quindi l’unica soluzione? Il dibattito resta aperto. Le considerazioni a sfavore delle coltivazioni di OGM sono valide e i dubbi ragionevoli. Nonostante le tecniche di realizzazione in laboratorio diventino sempre più raffinate e sicure, e dunque permettano alti livelli di controllo, i rischi ambientali connessi alla competizione tra specie restano reali.

Tuttavia, osservando il problema da un punto di vista più ampio, si può aggiungere un’altra considerazione: circa 88 milioni di tonnellate di cibo vengono sprecate ogni anno in Europa. In uno studio pubblicato nel 2023, alcuni ricercatori danesi e americani hanno calcolato che il carbon footprint annuo di questa perdita supera i 50 milioni di tonnellate di CO2. Questo spreco si traduce in circa 100.000 km2 di terre agricole sfruttate inutilmente. Rivedere la legislazione sulla coltivazione di OGM è sicuramente un modo di affrontare il problema, ma non è l’unico. Produrre meglio sarebbe
importante, sprecare di meno è essenziale.

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