di Daniele Barbone, editore di ImprontaZero®
I PFAS (sostanze per- e poli-fluoroalchiliche) sono un’ampia classe di composti chimici artificiali utilizzati per le loro proprietà idrorepellenti e oleorepellenti. Sono presenti in moltissimi prodotti industriali e di consumo, come rivestimenti antiaderenti, tessuti impermeabili e schiume antincendio. A causa della loro elevata persistenza nell’ambiente e nel corpo umano, vengono definiti “inquinanti eterni” e sono associati a rischi per la salute, tra cui danni al sistema endocrino e a quello cardiovascolare.
L’Unione Europea e l’Italia hanno introdotto da tempo restrizioni e limitazioni, mentre ulteriori nuove normative arriveranno nei prossimi anni.
Il punto di riferimento è la Convenzione di Stoccolma, un trattato internazionale adottato nel 2001 nell’ambito del Programma Ambientale delle Nazioni Unite (UNEP) ed entrato in vigore nel 2004, con l’obiettivo di proteggere la salute umana e l’ambiente dagli effetti nocivi degli inquinanti organici persistenti (POP).
I POP sono sostanze chimiche altamente tossiche, resistenti alla degradazione, che si accumulano negli organismi viventi e si diffondono nell’ambiente a lunga distanza. Tra questi, la Convenzione ha incluso alcuni PFAS particolarmente pericolosi, come il PFOS, il PFOA e il PFHxS, vietandone l’uso e la produzione (con alcune limitate esenzioni). Il trattato impone agli Stati membri di eliminare, ridurre o controllare la produzione e l’uso di queste sostanze, promuovendo alternative più sicure. L’elenco dei composti soggetti a restrizioni viene aggiornato periodicamente per includere le nuove sostanze riconosciute come dannose.
Il regolamento europeo REACH del 2006 ha poi incluso diversi PFAS nell’elenco delle sostanze regolamentate, imponendo ai produttori l’obbligo di informare l’Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA) in caso di utilizzo.
La difficoltà di classificare individualmente le numerose sostanze correlate ai PFAS ha spinto verso restrizioni sempre maggiori. Una proposta europea per il divieto totale dei PFAS è in fase di valutazione e potrebbe essere finalizzata entro il 2025.
Di seguito riportiamo i principali limiti attualmente vigenti nei prodotti e nell’ambiente.
Alimenti e acqua potabile
I PFAS negli alimenti rappresentano una crescente preoccupazione per la salute pubblica, poiché queste sostanze possono accumularsi nella catena alimentare. Fonti principali di esposizione includono pesce, carne, uova, latticini e prodotti coltivati in aree contaminate.
L’UE ha stabilito limiti massimi di concentrazione per quattro PFAS principali (PFOS, PFOA, PFNA e PFHxS). Se le analisi di laboratorio rilevano livelli superiori ai limiti consentiti, il prodotto deve essere ritirato dal mercato.
L’esposizione prolungata ai PFAS attraverso il cibo è stata collegata a effetti negativi sulla salute, come disturbi ormonali, alterazioni del metabolismo e problemi al sistema immunitario. Per proteggere i consumatori, la normativa si sta evolvendo per ridurre ulteriormente la presenza di queste sostanze negli alimenti.
Per l’acqua potabile la norma di riferimento è la Direttiva UE 2020/2184, che fissa due limiti: PFAS totale per un massimo di 0,5 μg/l e somma di 20 PFAS specifici per un massimo di 0,1 μg/l. Con il D. Lgs. 18/2023, l’Italia ha aggiunto ulteriori quattro PFAS a questo elenco, mantenendo il limite complessivo di 0,1 μg/l. L’obbligo di conformità scatterà il 12 gennaio 2026.
Scarichi industriali
Sebbene il Testo Unico Ambientale (D. Lgs. 152/2006) non preveda valori limite per i PFAS, le autorità possono imporli caso per caso. Il Consiglio di Stato ha confermato la legittimità di queste misure (sentenza n. 2986/2024), considerando i PFAS un rischio ambientale. Regioni come Piemonte e Veneto hanno già introdotto limiti sugli scarichi industriali. Il Piemonte, con la L.R. 25/2021, ha fissato limiti per gli scarichi in acque superficiali e vietato il rilascio di reflui contenenti PFAS nel suolo. Il Veneto, dal 2017, ha stabilito restrizioni ancora più severe in risposta alla contaminazione legata alla ex Miteni.
Rifiuti
Il Regolamento UE 2019/2021 disciplina i rifiuti contenenti una qualsiasi delle sostanze elencate nell’allegato IV, denominate POP. Rientrano tra tali rifiuti quelli che contengono o sono contaminati da determinate sostanze, tra cui alcuni PFAS, i quali si prevede che vengano smaltiti o recuperati con tempestività, in modo da garantire che il contenuto di POP sia distrutto o trasformato irreversibilmente.
Verso un divieto totale
L’interesse economico relativo a queste sostanze è globale. Non solo per gli usi molteplici che le riguardano, ma anche per i procedimenti aperti per danni ambientali che tali sostanze hanno già determinato o possono determinare.
Aziende produttrici hanno già stipulato accordi per importi miliardari in conseguenza di procedimenti connessi alla produzione o uso di PFAS. Tra questi, l’accordo del 2024 approvato dalla Corte distrettuale degli Stati Uniti nella Carolina del Sud, che stabilisce un impegno fino a 10,3 miliardi di dollari pagabili in tredici anni da parte di 3M per supportare la bonifica dei PFAS da parte dei gestori del servizio idrico. Molto noto anche l’accordo del 2023 per il quale DuPont dovrà pagare fino a 1,185 miliardi di dollari per andare incontro alle richieste operate da parte dei sistemi idrici pubblici.
Non stupisce, quindi, che anche l’Unione Europea stia accelerando il processo per eliminare i PFAS, con una proposta di restrizione globale il cui testo dovrebbe essere pronto entro il 2025. Nel frattempo, le aziende dovranno adeguarsi ai limiti sempre più stringenti per proteggere la salute pubblica e l’ambiente.
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