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di Elisa Cabiale, redazione ImprontaZero (leggi dello stesso autore “Acqua Novara. VCO al terzo Bilancio di Sostenibilità“)

Imprenditore piemontese promotore di un modello di consumo attento e sostenibile, Oscar Farinetti è fondatore di Eataly, Green Pea e dal 2008 proprietario insieme ai suoi soci della tenuta e delle cantine Fontanafredda. Gli abbiamo rivolto alcune domande per parlare dei problemi e delle tematiche di cui da anni si fa portavoce.

Il passato e la memoria

Nel suo ultimo libro, “10 mosse per affrontare il futuro”, si rivolge al passato per affrontare e parlare dei tempi che verranno. In che modo personaggi come Leonardo Da Vinci, Marylin Monroe, Andy Warhol possono aiutarci ad affrontare le sfide di un futuro sempre più incerto?

Sant’Agostino diceva che il passato è memoria, e la memoria è a propria volta strumento attraverso cui conoscere le generazioni passate. I problemi a cui dobbiamo far fronte come umanità tendono a ripetersi, per cui capire come sono stati risolti in passato ci può aiutare ad affrontarli nel presente. Con le grandi città dei Sumeri è nata la scrittura, necessaria per registrare le attività governative, commerciali e religiose. Con i Greci hanno avuto origine il teatro, la filosofia e la democrazia. E ancora l’antica Roma, il Medioevo, il Rinascimento, tutte le epoche possono insegnarci qualcosa; è chiaro che questi popoli non hanno dovuto fronteggiare problemi di sostenibilità ambientale, ma avevano anche loro problematiche generali di insostenibilità: erano, ad esempio, perennemente in guerra. Studiare e avere memoria, quindi, è fondamentale per imparare dal nostro passato.

La transizione ecologica

Una delle maggiori sfide a cui siamo chiamati oggi è la transizione ecologica. Se non modifichiamo le nostre modalità di consumo e produzione e il nostro atteggiamento nei confronti delle risorse naturali, non ci sarà per noi futuro. Come si può promuovere una transizione che parta dal principio, dalla produzione e poi dal consumo delle risorse?

L’emissione in atmosfera di troppa CO2 ha causato l’aumento delle temperature e la moltiplicazione di fenomeni metereologici estremi. Ciò vuol dire che, per la prima volta nella storia, l’intervento umano sta cambiando gli equilibri della natura. Per far fronte all’emergenza gli esperti concordano sull’assoluta necessità di cambiare il nostro modo di produrre e consumare energia e beni. Ma quanto tempo deve passare prima che dall’assimilazione della notizia si passi alla presa di coscienza e alla messa in pratica di soluzioni concrete? Della nostra eccessiva lentezza abbiamo avuto prova già anni fa con il buco nell’ozono: ci sono voluti vent’anni per smettere di produrre e utilizzare il Freon, la famiglia di composti chimici alla base del fenomeno. E come è successo? Con la normativa che ne vietava l’utilizzo, per cui dopo un po’ di tempo l’emergenza è rientrata. La natura, se rispettata, si rimette in fretta.

Oggi il vero elemento critico che riscontro nella lotta al cambiamento climatico è la tempistica: poiché il problema è narrato male, siamo lentissimi nell’attivarci per migliorare la situazione. La presa di coscienza della gente dipende dal tipo di comunicazione che viene fatta, e ad oggi i racconti dei media sono figli della propaganda. Ognuno applica o meno una regola in base ai sentimenti che questa provoca, quindi occorre cambiare le modalità di narrazione. Se ciò non accadrà, l’unica alternativa che avremo sarà quella di toccare il fondo. Farlo aiuta certamente a prendere consapevolezza: oggi in Italia produciamo vini di alta qualità anche per il fatto che nel 1986 una ditta in provincia di Cuneo ha adulterato il vino da tavola prodotto nelle proprie cantine con dosi elevate di metanolo causando la morte di 19 persone, l’intossicazione di 153 e l’accecamento di altre 15. Il cosiddetto “scandalo del metanolo”.

Ma perché occorre toccare il fondo per cambiare? Dobbiamo fermarci prima. Per affrontare il problema, quindi, è necessario cambiare la mentalità, la percezione comune. Dobbiamo modificare i sentimenti dei cittadini per rendere “fuori moda” guidare Suv a gasolio o ignorare l’obbligo della raccolta differenziata. L’obiettivo è promuovere il comportamento virtuoso. Da qui il motto “From Duty To Beauty”, la filosofia per cui dal senso del dovere si passa a quello della bellezza, del piacere.

Inoltre, è importante sottolineare come questa sia una questione di tipo generazionale, che interessa in primis i miei coetanei. Tra i più giovani vendere e comprare vestiti usati è già una moda e l’attenzione verso la sostenibilità ambientale è molto sentita. Il problema è la mia generazione, che sta consegnando a quelle più giovani un’Italia con quasi tremila miliardi di debiti e si arroga anche il diritto di dar loro consigli. Mi rivolgo ai giovani: imparate ad arrabbiarvi di più e da quella rabbia traete i mezzi per fare.

Agricoltura sostenibile

Parliamo di agricoltura sostenibile. Quali sono le modalità con cui Fontanafredda porta avanti questa attività?

L’agricoltura, nonostante sia un settore che impiega solamente il tre per cento degli occupati in Italia, incide fortemente sulle emissioni di CO2 per l’ampio uso che viene fatto di concimi chimici, diserbanti, trattori a gasolio… Dobbiamo cambiare. Noi italiani potremmo in questo senso dare un grande esempio al mondo intero: siamo una penisola piccola, lunga e stretta che si affaccia su un “mare buono”. Il nostro è quindi un territorio assai favorevole per il biologico.

Fontanafredda coltiva i propri terreni certificati a biologico. Ciò comporta l’obbligo durante la vendemmia di lasciare due filari lungo ciascun confine: l’uva che ne deriva viene destinata alla produzione di vino non biologico, perché quei primi filari assorbono le sostanze chimiche utilizzate da chi possiede i campi vicino ai nostri e non è certificato bio. Dovremmo estendere il biologico a tutta l’Italia, eliminare gli allevamenti intensivi, compiere un gesto formidabile e dichiararlo al mondo attraverso una narrazione adatta. Triplicheremmo così anche il numero di turisti di alto livello. Ma per fare ciò la politica deve crederci e lavorare in modo concreto.

Occorre poi diminuire drasticamente il consumo di carne, nonché comprare la metà delle cose che costino il doppio e durino il triplo. Io non credo nel mito della cosiddetta “decrescita felice”: la decrescita è sempre infelice e a subirne le conseguenze sono i più poveri. Dobbiamo quindi mantenere i fatturati inalterati ma diminuire la quantità dei beni prodotti, e quelli che produciamo devono essere di una qualità elevatissima. Così manterremmo inalterato il PIL, il consumatore spenderebbe la stessa cifra contrastando allo stesso tempo il “turn over” dei prodotti.

La sostenibilità economica

A questo proposito, la sostenibilità deve essere ambientale ma anche economica. Com’è possibile conciliare queste due necessità?

La disparità a livello mondiale esiste da sempre. Due secoli fa, prima della rivoluzione industriale, la ricchezza era molto meno ridistribuita tra le persone rispetto ad ora. Dal 2007, e soprattutto con l’innovazione digitale, si è verificata una nuova concentrazione di ricchezza nelle mani di chi ha saputo cavalcare l’onda dell’innovazione tecnologica.

La società dei consumi è un triangolo fantastico, ai cui vertici si trovano il posto di lavoro, il salario e i consumi. All’aumentare di uno aumentano gli altri due. Se vogliamo mantenere questo modello sociale dobbiamo trovare una soluzione che non sia la decrescita. La mia proposta è quella di mettere insieme due elementi di crisi: emergenza ambientale e sconcerto digitale. Così facendo potremmo creare nuovi posti di lavoro costruendo centrali di produzione di energia da fonti rinnovabili, centri per la raccolta dei rifiuti da rigenerare, spingendo sull’agricoltura biologica eccetera. Nel futuro che vedo, salvare la vita umana sulla Terra sarà il lavoro principale della popolazione. Nonostante il grande problema delle tempistiche, io rimango un ottimista e penso che andrà così, ma invito tutti a fare attenzione al punto di non ritorno.

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