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di Giulia Lovaste – Studio legale Grimaldi, in collaborazione con Alejandra Vargas

La sostenibilità non è un tema di recente introduzione nel quadro normativo europeo, in quanto le prime misure volte a supportarla e promuoverla risalgono ai primi anni Novanta. Tuttavia, l’approccio sino ad ora adottato si è dimostrato insufficiente.

Gli organi dell’UE, non avendo imposto in maniera chiara e binding misure concrete e risultati tangibili, hanno impedito – di fatto – la definizione di una politica unanime, in grado di soddisfare i bisogni comunitari e nazionali in tema di sustainability. Gli Stati Membri, in carenza di una traiettoria chiara e univoca, hanno attuato differentemente le loro politiche, che, ex post, risultano di difficile coordinazione a livello europeo e si dimostrano in larga parte deludenti. Ciò, tra le altre cose, ha evidenziato una sempre maggiore disparità tra i singoli Stati, specialmente tra quelli del nord e del sud Europa.

Oggi, l’introduzione di norme volte a definire, puntualmente e rigorosamente, il quadro normativo esistente rappresenta una urgenza non più procrastinabile, sia sul piano nazionale sia sul piano europeo. Il difficile contesto post pandemico nonché i recenti avvenimenti bellici hanno reso ancora più evidente l’insufficienza del quadro giuridico esistente nonché l’inadeguatezza delle misure attuate dagli Stati, totalmente lontane dagli ambiziosi obiettivi proclamati nell’Accordo di Parigi nel 2015. La sustainability è pertanto un traguardo ancora lontano sia a livello europeo sia nazionale e l’urgenza di misure volte alla sua realizzazione rappresenta una delle maggiori sfide contemporanee. Tali misure, infatti, oltre che richiedere interventi rapidi ed efficaci, impongono una chiara strategia, onnicomprensiva e dettagliata, capace di garantire modalità e traguardi accessibili a tutti gli operatori del mercato. La sfida della sustainability rappresenta – infatti – l’asset principale della green transition e solo una ben delineata strategia può consentire di raggiungere obiettivi concreti nel breve periodo e garantire risultati stabili in futuro.

L’uso consapevole, razionale e proficuo delle risorse attualmente esistenti e una sempre maggiore inclusione sociale sono, senza alcun dubbio, i capisaldi della auspicata nonché invocata rivoluzione verde ed ecologica. Il Green Deal europeo difatti impone l’adozione di politiche trasversali e investimenti sostenibili, che richiedono – da un lato – una sempre crescente attenzione ai temi green e – dall’altro – una maggiore interazione e collaborazione tra pubblico e privato.

Solo la presa di coscienza della intrinseca interrelazione tra crescita economica e tutela dell’ambiente può consentire il successo della green transition e della sustainability. Invero, per molto tempo, la crescita economica e la tutela dell’ambiente sono state considerate dagli operatori del mercato come direttrici opposte, inversamente proporzionali, dove la crescita economica primeggiava rispetto all’ambiente. Oggi, il Green Deal impone una rivoluzione di principio, uno stravolgimento delle premesse. Infatti, la crescita economica non risulta più possibile se svincolata dalla tutela dell’ambiente. Invero, i nuovi paradigmi economici e modelli innovativi che minimizzino l’impatto ambientale sono i nuovi capisaldi dello sviluppo economico sostenibile.

Nella concezione di sviluppo sostenibile gioca un ruolo di rilevo la finanza sostenibile, ovverosia la finanza della Tassonomia UE e dei fattori ESG (i.e. Environmental, Social e Governance). Con il termine finanza sostenibile si intende quella branca della finanza che regola i processi decisionali di investimento e dunque indirizza i capitali verso progetti che rispettano i fattori ambientali, sociali e di governo societario e, nel lungo periodo, consente lo sviluppo economico e sostenibile. Fare un investimento finanziario che tenga conto dei fattori ESG significa quindi investire in imprese che compiono scelte aziendali sostenibili e coerenti con la Tassonomia UE.

Tuttavia, nonostante l’ambizioso e apprezzabile scopo della finanza sostenibile, essa complica di gran lunga i processi di investimento e controllo, determinando – di fatto – incertezza negli investimenti e conseguentemente una limitazione nella circolazione dei capitali verdi. Tale rischio può essere arginato solamente a mezzo di previsioni chiare, a monte e a valle, necessariamente adottate a livello comunitario. Invero, nonostante la Tassonomia UE definisca cosa sia considerabile green e quindi in cosa sia lecito investire (come, tra l’altro, la mitigazione e l’adattamento al cambiamento climatico, l’uso sostenibile delle risorse idriche, l’economia circolare, la riduzione dell’inquinamento e la protezione della biodiversità), non fornisce chiari rimedi al fenomeno del greenwashing, lasciando gli investitori privi di specifica tutela. Inoltre, gli operatori del mercato, oltre ad essere onerati (nonché oberati) da particolari obblighi di disclosure, si trovano di fronte al pericolo (concreto) di essere tacciati di greenwashing, con conseguenze non univoche. In aggiunta, lo stesso concetto di green (e dunque il contenuto della Tassonomia EU) non è concetto stabile e immutabile. Invero sempre maggiori investimenti risultano vincolati, al fine di ritenere integrati i criteri della sostenibilità UE.

Da ultimo, si registra l’insidioso dibattito concernente l’inclusione dell’energia nucleare e del gas naturale nella Tassonomia UE che, pur non essendo strettamente green, si presentano come attività transitorie a basso valore carbonico, e, dunque, cruciali per il raggiungimento dei target climatici. Sebbene queste tecnologie promettano di garantire un approvvigionamento energetico stabile durante la transizione, il Parlamento ritiene – infatti – che gli standard ad hoc proposti dalla Commissione eludano i criteri sostenibili dal punto di vista ambientale. Le incongruenze tra le definizioni di sostenibilità fanno risaltare – ancora una volta – l’inadeguatezza del quadro normativo attuale, che impone risposte europee coordinate, negoziate e concrete. Tuttavia, la necessità di attuare politiche economiche stabili, che favoriscano gli investimenti sostenibili, si scontra con le complesse dinamiche socio-ecologiche che richiedono una governance adattiva.

È necessario, dunque, presidiare il confronto costruttivo su queste tematiche, al fine di adottare strategie europee capaci di contemperare i diversi interessi socioeconomici (soprattutto alla luce delle imminenti sfide economiche poste dal conflitto geopolitico nonché dalla transizione ecologica) con gli ambiziosi obiettivi della sustainability.

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