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di Marco Poggianella, Co-founder e CEO di SOP – Save Our Planet

Un’epoca contraddittoria

Viviamo in un’epoca contradditoria. Mai come oggi l’umanità ha avuto a disposizione tanta conoscenza scientifica e tanta tecnologia. Eppure, le crepe del nostro mondo si fanno più profonde: disuguaglianze crescenti, ecosistemi impoveriti, economie fragili. Sviluppiamo intelligenze artificiali sempre più potenti, mentre dimentichiamo l’intelligenza naturale: quella che conosce il ciclo dell’acqua, la fertilità del suolo, la rete invisibile della vita che sostiene tutto. Viviamo il paradosso di
un’epoca che accumula dati ed evidenze scientifiche, ma vede crescere il numero di complottisti, negazionisti e terrapiattisti. Nel frattempo, c’è chi muore di fame e chi di obesità, chi concentra ricchezze smisurate e chi sperimenta la povertà di ritorno.

Abbiamo moltiplicato ciò che è superfluo, ma smarrito l’essenziale: l’equilibrio dei suoli, la purezza delle acque, la qualità dell’aria, la biodiversità, la capacità della vita di rigenerarsi. Abbiamo spezzato legami millenari, dimenticando che ogni sistema vivente prospera solo nella reciprocità. Per questo motivo la questione ambientale non è un tema tra gli altri: è la cornice che racchiude tutto, il contesto da cui dipendono le nostre comunità, la politica, l’economia. È la trama stessa su cui si intreccia il futuro.

Il ruolo dell’impresa

E allora il ruolo dell’impresa e di chi la guida diventa decisivo. Un’impresa non vive isolata: è nodo di una rete che connette persone, comunità, ecosistemi. Ogni scelta fatta non si ferma ai confini aziendali, ma genera onde che ridisegnano territori, economie, relazioni. Chi fa impresa oggi non può limitarsi a correre come un leone o una gazzella. Deve chiedersi prima di tutto perché esiste: a quale necessità intende rispondere, quale visione la sostiene, quale contributo vuole lasciare. Poi viene il come: i valori che guidano i processi, lo stile di leadership, le connessioni che attiva. Infine, il cosa: prodotti, servizi, risultati. Ognuno di questi livelli, il perché, il come, il cosa, lascia un’impronta.

Pensare che basti “non danneggiare” è illusorio. L’impresa deve generare valore che resta, deve essere consapevole che ogni scelta fatta plasma la salute di un suolo, la coesione di una comunità, la resilienza di un ecosistema. In questo orizzonte, essere una società benefit e B Corp è un segnale forte: è affermare che l’impresa non si definisce solo sulla base di ciò che produce o guadagna, ma anche su ciò che restituisce. Il modello rigenerativo rappresenta l’evoluzione necessaria: non limitarsi a ridurre il danno, ma contribuire attivamente alla rinascita di ecosistemi e comunità. Integrare obiettivi economici, sociali e ambientali nel DNA aziendale significa far crescere un’impresa che non consuma risorse, ma le fa fiorire: un’impresa proiettata nel futuro.

Rigenerare non è un concetto astratto: è cura attiva. È trasformare l’impresa da utilizzatrice di risorse a custode di ecosistemi. La natura insegna che non esistono catene lineari, ma reti. Non massimizzazione, ma ottimizzazione. Non spreco, ma circolarità. Un ecosistema non produce rifiuti: ciò che è scarto per una specie diventa risorsa per un’altra. La vita resiste da miliardi di anni non grazie alla competizione, ma grazie a cooperazione e interconnessione. Il paradigma rigenerativo prende forza da qui: dall’arte di leggere i sistemi viventi e imitarne i principi. È la vera evoluzione dell’impresa.

Il ruolo dell’agricoltura

Centrale per il nostro futuro è l’agricoltura: ogni giorno ci relazioniamo ad essa almeno due o tre volte… ogni volta che mangiamo! Secondo la FAO, il 95% del cibo che consumiamo dipende da suoli sani. Eppure, ogni anno scompaiono circa 100 milioni di ettari di terra fertile (oltre 190 ettari ogni minuto!) a causa di erosione, inquinamento, cementificazione e desertificazione. Oggi un terzo dei suoli mondiali è già gravemente degradato. Il suolo non è un substrato inerte: è un organismo vivo. Senza un’agricoltura sana non c’è sicurezza alimentare. Senza sicurezza alimentare non c’è libertà. E senza libertà non c’è futuro. Agricoltori e allevatori sono i custodi silenziosi di questo equilibrio: difendono territori, mantengono paesaggi, garantiscono nutrimento a una popolazione in forte crescita. Ma per farlo hanno bisogno di strumenti adeguati per rigenerare, non solo per produrre. I problemi che affrontano sono concreti e gravi: l’agricoltura e la zootecnia, pur essenziali, contribuiscono all’inquinamento e alle emissioni climalteranti: ammoniaca, metano, CO2, protossido di azoto. L’uso intensivo di pesticidi e concimi di sintesi ha impoverito i suoli, ridotto la biodiversità, aumentato i costi e compresso le marginalità degli agricoltori. Ma questi non sono destini inevitabili: sono sfide da affrontare.

SOP – Save Our Planet

Il mio percorso imprenditoriale nasce da questa consapevolezza. Nel 2001 ho fondato la mia azienda, oggi diventata un gruppo presente in Italia e negli Stati Uniti: SOP, acronimo di “Save Our Planet”. In collaborazione con università italiane (Milano; Piacenza; Padova) e americane (University of California, Davis; Cornell; Colorado State), abbiamo sviluppato soluzioni e protocolli capaci di ridurre la dipendenza dalla chimica di sintesi, abbattere le emissioni climalteranti e inquinanti, restituire fertilità ai suoli e migliorare qualità e quantità delle produzioni agricole e zootecniche. Non è filosofia: è rigenerazione concreta, misurata in campo e replicabile su larga scala.

Sì, perché rigenerare non è un atto di fede né filosofia. È scienza, ricerca, investimento. Ed è soprattutto responsabilità. Non basta più guardare all’impatto locale o nazionale: serve un approccio product-based. Se consumo un prodotto asiatico o americano, la sua impronta non resta oltreconfine: è parte della mia scelta, del mio Paese. E non si tratta solo di inquinamento o clima: parliamo anche di sfruttamento sociale. Spostare produzioni all’estero per ridurre l’impatto “sulla carta” o abbassare i costi non è una soluzione, è un inganno. Significa esportare veleni e precarietà, illudendosi di esserne indenni. Ma la catena è totale: il pianeta non ha dogane. E oggi la trasparenza rende tutto tracciabile. I “furbetti” vengono o verranno smascherati!

Il modello Olivetti

Adriano Olivetti lo aveva intuito con lucidità straordinaria: una fabbrica non può limitarsi a produrre oggetti, deve distribuire cultura, servizi, democrazia. La sua ambizione era fare dell’impresa più di un luogo di lavoro: un modello, uno stile di vita, capace di generare libertà e bellezza. L’impronta che lasciamo sarà giudicata dalla storia. Rigenerativa, racconterà di un’Italia che non ha avuto paura di guidare il cambiamento e di proteggere la sua terra, la sua gente, la sua libertà, la sua bellezza, il suo futuro.

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